sabato 9 febbraio 2008

LA FRITTOLA PALERMITANA






Capita sovente, passeggiando per il centro storico di Palermo, soprattutto nel cuore degli antichi mercati del Capo, della Vucciria e di Ballarò, di imbattersi in capannelli di persone vocianti intorno ad un cesto coperto di stracci.
Qualcuno estrae a mani nude qualcosa che poggia su della carta oleata e la porge.
Intorno si mastica allegramente. Bene, vi siete imbattuti nel venditore di frittola.
Rigorosamente presa con le mani, che, un minuto prima, hanno riscosso i soldi dell’ultimo cliente, venduta e consumata per strada, a prezzi accessibili a tutti, la frittola viene ricavata dalla lavorazione delle ossa e degli scarti delle macellerie.
Questi, messi a cuocere per lungo tempo in grosse caldaie, fanno staccare i residui di carne dalle ossa e ammorbidiscono le callosità.

Infatti, la frittola è formata principalmente di pezzetti di carne, cartilagini e parti callose che vengono poi soffritti con lo strutto ( “saime”) e insaporiti con spezie profumate: alloro, zafferano, pepe.
Conservata in un cesto di vimini e ben coperta perché si mantenga calda, viene venduta per strada e consumata con molto limone, per renderla meno grassa, dentro un panino o da sola prendendola rigorosamente con le dita che alla fine doverosamente si puliranno leccandosele.
Con la “meusa”, la “Frittola” ancora oggi per molti palermitani sostituisce, di mattina, il cappuccino o l’aperitivo prima del pranzo. Per altri, purtroppo, visto il basso costo, costituisce ancora il pranzo o la cena.
La frittola è uno dei piatti più antichi e caratteristici di Palermo, la sua nascita si fa risalire intorno al cinquecento.

Non è un piatto che si può facilmente preparare in casa. Ad un non palermitano può sembrare una cosa “barbara”, ma vi assicuro che, non badando molto all’igiene, assaggiandola se ne resta affascinati.

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